E’ fuori dubbio che nell’attuale panorama sociale la considerazione che l’uomo ha dell’animale sia mutata e tenda sempre più a considerare l’animale domestico quale parte integrante della famiglia e non quale mero oggetto o res inanimata. Diciamo subito che per animale d‘affezione si intende l’animale idoneo a instaurare con l’uomo un rapporto comunitario, ovverosia uno scambio affettivo biunivoco
La teoria etologica secondo cui gli animali sono esseri senzienti, dotati di una forma di raziocinio e capaci di distinguere tra dolore e piacere ha portato l’evoluzione giurisprudenziale a considerare il rapporto d’affezione con l’animale domestico un valore sociale tale da elevarlo a rango di diritto inviolabile della persona umana, ai sensi degli artt. 2, 32 e 42 della Costituzione.
La sentenza del Tribunale di Pisa 3 novembre 2023 n. 1362 sostenendo che il apporto di affezione interspecifico rappresenti un aspetto di completamento e sviluppo della personalità individuale, conclude affermando che l’interesse non patrimoniale (leggi danno morale) derivante dal legame di affezione assurge al rango di interesse giuridicamente rilevante e come tale risarcibile.
Ma facciamo un passo indietro: qual’è il danno risarcibile se il nostro animale domestico viene ucciso ?
Superando la drammaticità del momento diciamo subito che è unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza ritenere che il danno patrimoniale sia sempre risarcibile purché ne venga fornita apposita prova (producendo le relative fatture o ricevuti fiscali) e purché lo stesso sia conseguenza immediata e diretta dell’evento dannoso.
Da sottolineare che secondo il codice civile il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza: in questa prospettiva , ad esempio , i giudici hanno negato il risarcimento del danno a una persona che aveva lasciato libero e senza guinzaglio il proprio cagnolino, poi azzannato a morte da un cane di grossa taglia, in quanto trattasi di danno che avrebbe potuto essere evitato dall'uomo usando la normale diligenza, ovvero tenendo al guinzaglio l’animale.
Analogamente non è stato ritenuto risarcibile il danno patrimoniale subito da una persona che aveva scelto di curare il proprio gatto presso una costosa clinica veterinaria: secondo i giudici le spese sostenute sarebbero state eccessive rispetto al valore dell’animale il cui padrone avrebbe potuto optare per una struttura veterinaria più economica.
Altro discorso per quanto riguarda il danno morale, cioè la sofferenza psicofisica patita da un soggetto in conseguenza di un fatto dannoso, che nel nostro caso coincide con il valore affettivo e col dolore derivante dalla perdita dell’animale.
Per molto tempo i giudici hanno espressamente negato il riconoscimento del danno morale in caso di morte dei propri animali da compagnia, in quanto il rapporto uomo-animale non veniva ricompreso tra i diritti inviolabili costituzionalmente garantiti, ma le cose, come detto all’inizio, sembrano essere cambiate.
E’ ora pacificamente riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale qualora la morte dell’animale sia stata cagionata intenzionalmente da un terzo integrando così una fattispecie di reato: pensiamo ad esempio alla volontaria uccisione di animali attraverso la somministrazione di polpette avvelenate.
Nulla quesito sul fatto che il danno morale venga risarcito in caso di morte dell’animale derivante dalla altrui condotta dolosa, tuttavia si assiste sempre più a pronucie in cui il giudice di merito accordi alla parte lesa il risarcimento a titolo di pecunia doloris prescindendo dalla qualifica di quest’ultima quale vittima di un reato.
Dunque, nei casi in cui l’animale da compagnia sia venuto meno e la parte lesa riesca a dimostra-re mediante l’allegazione di fatti in processo l’insorgenza di una vera e propria patologia suscettibile di accertamento medico legale quale può essere , uno per tutti, l’appurato stato di depressione, al giudice è concesso accordare a quest’ultima il risarcimento del danno biologico, il quale trova la propria legittimazione nella lesione dell’integrità psico-fisica che ha subito il soggetto leso quale conseguenza del fatto illecito posto in essere dal convenuto.
Ovviamente la misura del risarcimento andrà valutata in base alle conseguenze cagionate dalla morte dell’animale.
Prendiamo a titolo di esempio il caso in cui l’animale da compagnia sia utilizzato dall’uomo per gli interventi comunemente definiti di pet therapy, i quali essendo volti al miglioramento della salute e del benessere del soggetto assistito dall’animale determinano che nel caso in cui il padrone dell’animale riesca a dimostrare che dalla sua morte sia scaturita una lesione concernente il proprio diritto alla salute ex art 32 Cost, al giudice non resterà che risarcire i danni non patrimoniali da questi patiti.
Cosa accade se l’animale viene soltanto ferito ?
In questo caso la giurisprudenza nega ogni possibilità di risarcimento del danno morale: l’unica possibilità per il proprietario sarà quella di chiedere il risarcimento del danno economico per le spese mediche sostenute.
Si noti bene che nella casistica a disposizione ad essere risarcito è sempre il danno non patrimoniale scaturente dalla lesione del diritto alla salute della parte lesa e non del danno scaturente dalla lesione del rapporto affettivo che il padrone dell’animale vantava in riferimento a quest’ultimo.
Al giorno d’oggi in nessun caso può essere ritenuto risarcibile il danno da lesione del legame affettivo instaurato tra uomo e animale.
Quest'ultimo lo si potrà ritenere munito del patrocinio aquiliano (risarcitorio del danno) solo previo intervento del legislatore al quale spetterebbe tramite apposita norma di legge la risarcibilità del danno da lesione del rapporto d'affezione instauratosi tra l'uomo e il proprio animale da compagnia.
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